Greta Thunberg è diventata troppo rapidamente un personaggio globale e ora sta si sta trasformando in simbolo negativo per sovranisti e negazionisti sul clima (compresi quelli per cui il progresso ha i suoi costi e se pensi che bisognerebbe cambiare corso sei uno stupido ingrato). Il rischio è che attaccando Greta si colpisca il movimento globale per la giustizia climatica. Ma il punto non è difendere a tutti costi la ragazza: si tratta di diventare tutti protagonisti.
Non è un caso che due personaggi da circo mediatico italiano, Rita Pavone e Giuliano Ferrara, abbiano sparato in questi giorni contro la figura di Greta, l’attivista che a soli 16 anni è riuscita a portare milioni di persone in piazza per il clima.
La vecchia cantante diventata bandiera dei sovranisti e l’ex comunista ex direttore di un giornale che per anni ha negato il riscaldamento globale vedono sicuramente come fumo negli occhi una ragazza che indica la necessità di un’azione globale per cercare di attenuare gli effetti più devastanti del cambiamento climatico e che contesta le generazioni precedenti. É chiarissimo.
Ed è altrettanto chiaro che la figura di Greta, nella quale tutti abbiamo intravisto una Pippi Calzelunghe (svedese pure lei) in carne e ossa e terribilmente incazzata (a ragione), è diventata in pochissimo tempo un personaggio globale, tanto da essere candidata al Nobel. Già si parla di questa o quella giovane attivista ecologista come la “Greta italiana”, e immagino accada lo stesso in altri Paesi, perché i meccanismi sono sempre quelli. Un’eroina dei nostri tempi, un modello. Una specie di Elsa del celebrato film Frozen.
Solo che Greta, a differenza di Elsa e di Pippi, è umana. É una persona in carne e ossa. Con le sue numerose qualità, per prima la caparbietà. Coi suoi difetti, che non conosciamo ma che potremo scoprire presto, perché dei beniamini si vuole sempre sapere tutto (fino a che non diventa poi troppo). Dato che è diventata rapidamente un simbolo, e che il circuito dei mass-media e dello spettacolo (che spesso coincidono) ha bisogno di ricambio continuo, di bruciare rapidamente i suoi eroi, la ragazza potrebbe molto presto soffrire di sovraesposizione, venire facilmente a noia.
Greta ha dei limiti, non solo perché è umana, ma anche perché è vivente. Non è un’icona immortale come Che Guevara, per dire. Che è morto nel 1967 ma che vivrà se non per sempre, per un bel po’, in quella foto che tutti conosciamo, che lo ritrae giovane, forte, bello.
Ma Greta può diventare rapidamente un simbolo negativo. Non solo per le sue umane debolezze, ma anche per la ragione opposta: perché potrebbe apparire, a noi deboli umani, troppo perfetta. Una Giovanna d’Arco del clima, da mettere poi al rogo.
Su Internazionale di questa settimana c’è un articolo che racconta la costruzione della mitologia negativa su George Soros, la figura più attaccata dai nazionalisti di mezzo mondo. Soros, un ebreo scampato all’Olocausto diventato abile speculatore finanziario e poi filantropo sostenitore della società aperta, è stato trasformato coscientemente in nemico a fini elettorali dal leader ungherese di destra-centro Viktor Orban.
Greta è donna, è capace ma ha poca esperienza perché è molto giovane, ha la sindrome di Asperger: è la candidata perfetta per gli attacchi.
Il punto non è soltanto di difenderla, proprio perché è una persona, e possibilmente di esporla meno (credo sia ormai tardi per questo, mi immagino le statuine del presepe napoletano a forma di Greta, il film su Greta, la serie su Greta, le figurine di Greta etc). Il punto principale è che un movimento globale ha bisogno anche di tante facce, di tante persone che si impegnino, che agiscano e parlino insieme, o una dopo l’altra.
Non è per niente facile, anche perché i meccanismi della comunicazione sembrano imporre sempre la necessità di una figura, una persona, da trasformare in simbolo (apparentemente siamo privi della capacità di astrazione, in questi casi), ma probabilmente è l’unico modo.
Anche costruire un avatar, una specie di figura sintetica (tipo Hatsane Miku, la popstar giapponese virtuale) che riassuma nella sua figura le ansie, le speranze, la voglia di cambiamento, ha i suoi rischi.
Anni fa il subcomandante Marcos, ai tempi della rivolta in Chiapas, tentò di scardinare il meccanismo della personalizzazione del movimento indossando un passamontagna, da esibire insieme al nome di battaglia. Ma era sempre la stessa persona, a portarlo, per cui rapidamente l’uomo col passamontagna divenne comunque un simbolo, e si iniziò subito a scavare a fondo sulla sua vita.
La maschera di Guy Fawkes, cioè quella che usa il protagonista di V per Vendetta, è stata per un po’ simbolo (globale) di opposizione no global (e lo è ancora, spesso, se ne vedono alle manifestazioni, anche se ormai sembra diventata più una maschera carnevalesca un po’ horror).
Ma a parte il fatto che qualcuno ha fatto notare quasi subito che i diritti di autore per la vendita di ogni maschera vanno ai vituperati studi cinematografici hollywoodiani, quello sguardo beffardo è diventato un po’ un alibi, dietro cui si nascondono persone e intenzioni diverse, come partecipare gioiosamente a una manifestazione e sfasciare una vetrina nel corso dello stesso corteo.
E lo stesso discorso in fondo vale per i gilet gialli, che certamente non coprono il viso ma sono diventati una maschera a loro volta. Indossarli non significa condividere un’istanza di lotta precisa (forse è stato così nelle primissime settimane in cui il fenomeno è scoppiato, in Francia), perché rapidamente si sono distinti gilet gialli di destra, di sinistra, non politicizzati, comunque contro.