(attenzione, questo non è un peana in favore del semi-presidenzialismo, sono briciole di analisi critica)
Una parte del Pd o comunque del centrosinistra si è scoperta, o meglio ha annunciato di essere, fieramente semi-presidenzialista, e oggi un gruppo di deputati vicini a Romano Prodi (che aveva lanciato l’appello la settimana scorsa sul Messaggero) e a Matteo Renzi presentano una proposta di legge costituzionale che va in questo senso.
E’ un piccolo (?) strappo rispetto alla decisione nel Pd di abbassare il tono sulla questione per non creare problemi, soprattutto al governo.
Però, premesso che probabilmente la discussione sulle riforme istituzionali non è la primissima priorità tra i problemi in tempo di crisi – ma comunque un peso ce l’ha, anche nel modo in cui l’Italia funziona e dunque affronta i problemi – mi pare che gli anti-presidenzialisti o anti-semipresidenzialismo abbiano qualche problema, a sostenere le proprie posizioni, proprio a partire da una questione di background culturale. Sia quelli del Pd che quelli di sinistra.
Il Pd elegge di fatto il proprio segretario con le primarie, cioè con una competizione personale, su una figura di leader, ai cui voti è legato anche poi il numero di componenti eletti nell’assemblea nazionale, e non il contrario (cioè il segretario eletto in assemblea nazionale sulla base dei rappresentanti eletti da ciascuna mozione in lizza).
Il centrosinistra indica con le primarie il proprio candidato premier, sulla base di una legge elettorale che non modifica formalmente la Costituzione – secondo cui il presidente del Consiglio è nominato dal capo dello Stato ed eletto poi dal Parlamento – ma cerca di fatto di cambiarla. Il Pd non era favorevole alla legge, ma si è comunque adeguato al meccanismo, ampliandolo se possibile con le primarie.
Il centrosinistra ha sempre apprezzato il meccanismo di elezione dei sindaci, che non solo prevede l’elezione diretta, ma anche meccanismi come la preferenza disgiunta, cioè la possibilità di scegliere un candidato sindaco e contemporaneamente un partito di un altro schieramento, o addirittura di votare solo per il sindaco e non per i partiti.
Anche i presidenti delle regioni vengono eletti col voto diretto. E non ho sentito grandi critiche di principio a questo sistema elettorale.
Secondo me, questi elementi rappresentano chiaramente il background di una scelta semipresidenzialista o presidenzialista tout court, la modifica costituzionale (tenendo conto di tutti i contrappesi etc) sembra una conseguenza logica.
E dire come fanno i giovani turchi del Pd (o come diavolo si chiamano) LeftWing “che per l’Italia sarebbe un pessimo sistema” il sistema francese, senza spiegare bene perché, non basta. Comporta dire quale sarebbe il miglior sistema.
Per quanto riguarda le posizioni più “di sinistra”, il discorso cambia nei dettagli, ma non sui principi. Sel, per esempio, ha scritto nel proprio simbolo “Con Vendola”, esattamente come gran parte dei partiti e delle liste (a cominciare dal super-presidenzialista Pdl di Silvio Berlusconi). Il che serve a dare agli elettori una certezza: sì, siamo il partito di quel leader, di Vendola, casomai vi piacesse la sua figura.
Ancora, Sel propone (non da sola) il ritorno al Mattarellum, cioè un sistema basato comunque (per il 75% dei seggi) sulla personalizzazione del candidato parlamentare. E’ vero che in paesi come la Gran Bretagna il sistema uninominale maggioritario non corrisponde per forza al presidenzialismo: ma perché lì c’è la monarchia…
Poi ci sono i proporzionalisti (tra i quali mi iscrivevo anche io quando ci fu il referendum che portò poi al Mattarellum). E qui, capisco maggiormente l’opposizione a un sistema che preveda elezione diretta e comunque premio di maggioranza. Però, bisogna non essere poi proporzionalisti col culo degli altri, per parafrasare l’eroe del proletario vincente romano Stefano Ricucci.
Il sistema proporzionale è di certo quello più onesto, perché non prevede premi, ma anche quello che notoriamente incentivan maggiormente la frammentazione. Accettarlo significa dunque correre il rischio che non si ottenga la maggioranza necessaria a governare, essendo costretti a formare alleanze e in qualche caso anche grandi coalizioni (come l’attuale Pd+Pdl+Scelta civica). E certamente non si può pensare di rivotare ogni mese finché il risultato non è quello desiderato.
E’ chiaro che il problema delle alleanze, e delle grosse coalizioni, è soprattutto politico, ma non trascurerei neanche la questione dei limiti delle istituzioni che uno si è dato. Essere proporzionalisti per avere soltanto visibilità in Parlamento è molto utile alla propria causa, un po’ meno a quella di governare, che comunque è un problema che riguarda tutti. E comunque il sistema proporzionale di fatto costringe i partiti a fare la solita sceneggiata del “tutti contro tutti” pre-elettorale, inducendo gli elettori e i sostenitori a irrigidirsi contro gli “altri”, con cui poi invece la guida del partito stringe poi un’alleanza.
Si può anche pensare a maggioranze variabili, per esempio, e a governi o addirittura presidenze collettive (succede in Svizzera e pochi altri posti, ma si può fare, volendo), ma bisogna lanciarsi nel dibattito e comunque proporre qualcosa che funzioni.
Ma anche ai proporzionalisti farei presente che di fatto, oggi, c’è un presidenzialismo di fatto, praticato (quello di Giorgio Napolitano è la punta più avanzata) e senza troppo controllo che nasce dalla difficoltà della politica attuale. E che è un rischio lasciarlo fare limitandosi semplicemente a negarlo.
(ps: poi qualcuno può anche dire che Romano Prodi è per il semipresidenzialismo perché, dopo essere stato accoltellato dai 101, la prossima volta vuol far il padre della patria col voto popolare. Anche se forse per allora sarebbe un po’ troppo anziano, ormai, anche se meno, anagraficamente, di Berlusconi).
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